di Luca Gibillini
Lo scenario che si sta definendo, con contorni più evidenti ogni giorno che passa, non può lasciarci indifferenti e silenziosi.
La destra avanza con una strategia ormai non più velata. Costruisce emergenze mediatiche, creando opinione e facendo cultura, cavalca il malcontento e l’opinione che suscita, propone soluzioni che sono sostanzialmente repressione e controllo.
Il Partito democratico nascituro, fa i conti con questa strategia e si inserisce nel dibattito politico sempre di più sui temi e sui contenuti sollevati dalla destra. Chiamparino, Galan, Turco e Fassino a livello nazionale ed ora anche nella dimensione milanese a spada tratta Penati, Fiano, Rozza rilanciano il tema sicurezza con il taglio securitario e repressivo che credevamo appannaggio della destra peggiore.
Chi non può affrontare il tema del degrado, il tema dello sviluppo e il tema della sicurezza in questi termini, non riesce a reagire. Non riesce perché l’operazione “creare paura” e “lavorare sulla percezione del rischio” è riuscita e perché non ci sono ambiti e soggetti sufficientemente forti per proporre ricette, soluzioni ed approcci culturali alternativi a quelli (sovrapposti e coincidenti) della destra e del Partito democratico.
La società sta cambiando rapidamente, sta, possiamo dire, degradando ad uno stato di individualismo e di paura diffusa. Questo sta accadendo, non come lungo processo evolutivo (o degenerativo), ma a balzi, attraverso lo strumento dei media, dell’impatto immediato sulle pance delle persone, sull’incertezza e la precarietà diffusa e non del tutto razionalizzata.
Facciamo tre esempi.
- Il lungo dibattito sulle droghe aveva assunto, fino alle politiche del 2006 (neanche un anno fa!), dei contorni interessanti. Si parlava di dialogo e di anti-proibizionismo. Oggi, una serie di notizie flash (decontestualizzate, sparate con i titoloni) e di allarmi gridati a gran voce hanno invogliato molti politici credibili e di centro sinistra, da Chiamparino a Mercedes Bresso, da Livia Turco ad Amato, addirittura a chiedere dura repressione, con i NAS nelle scuole, abolendo di fatto dalla discussione quelle poche conquiste culturali che sembravano acquisite. La prevenzione, i giovani interpretati come risorsa e non solo problema sociale, il dialogo generazionale.
- Il tema della sicurezza. Quasi scontato. Emergenza sicurezza è diventata emergenza stranieri (alla faccia di ogni dato della questura e di buon senso). Da stranieri a Rom e nomadi il passo è stato breve. La destra ha fatto campagne elettorali sui rom. Vincendole. Oggi, il Partito democratico, invece di provare ad affrontare la sfida su altri campi, si accorge di aver perso su questi terreni e cerca di farli propri. Ed ecco che Penati esce sui giornali con requisitorie sulla legalità, contro i rom, addirittura attaccando il governo e chiedendo improbabilissime moratorie del trattato europeo di mobilità verso Bulgaria e Romania. E dal dibattito pubblico spariscono alcuni termini che noi ancora sentiamo attuali. Anzi: attualissimi: solidarietà, opportunità, integrazione, rispetto, lavoro, povertà.
- Infine, ma non marginale, il lavoro, le pensioni, i diritti elementari. Ma più evidente di tutti: La famiglia, i pacs, la laicità dello stato. Il prezzo da pagare per costruire il PD è l’abbandono dei Dico. Ormai un’improbabile operazione parlamentare. Già i Dico erano, in tempi elettorali, una bassa mediazione sui diritti. Negli ultimi mesi il governo di centro sinistra è riuscito a spostare a destra l’intera cultura nazionale, rimettendo all’ordine del giorno la centralità della famiglia.
Creare spazi politici, culturali. Questa pare l’emergenza. L’alternativa sembra che sia, altrimenti, inevitabile: la costruzione del bipolarismo perfetto, all’Americana, dove esistono due partiti speculari l’uno all’altro, che dicono cose simili, con piccole sfumature, con tutto il dibattito politico concentrato sui nomi, sull’onestà e la simpatia di questo o quell’altro, con l’uscita definitiva di scena della politica, dei contenuti, delle prospettive di società.
Creare spazi politici, crediamo vada fatto su due direttive che si incrociano, ma che sono quasi indipendenti:
Da un lato costruire il soggetto politico di riferimento della Sinistra Europea, contenitore e spazio per molti che non si riconoscono nella dimensione tradizionale del partito politico, che sia punto di collegamento tra società e politica, tra istituzioni e movimenti, laboratorio politico e movimento culturale.
Dall’altro lato, forse ancora nella fase con carattere più di emergenza, costruire uno spazio politico in cui possano discutere e ritrovarsi le forze politiche e sociali di sinistra, come lo sono i partiti milanesi di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, i Verdi, Sinistra Democratica, comitati e liste civiche come la Lista Fo. Uno spazio politico dove ognuno può mantenere la propria identità, le proprie specificità, ma che possa rappresentare chiaramente uno strumento di battaglia politica e culturale, con una linea chiaramente alternativa alla destra, ma anche al Partito Democratico.
Non ha molta importanza come si definirà questo spazio, se come federazione, come soggetto politico, o più linearmente come cantiere politico (pensiamo al percorso che aveva portato all’Unione ). Quello che ha importanza è che si ritorni, a Milano, come in Italia, a dire cose di sinistra, a costruire consenso, ma soprattutto, a fare opinione, a fare cultura.
Ci sono alcuni temi che devono essere prioritari, perché sono i cavalli di troia della destra e del PD, ma anche altri temi che devono tornare ad essere cavalli di battaglia nostri e di tutta la sinistra: Un’altra sicurezza, un altro sviluppo dei territori, la difesa dei diritti, il ruolo del pubblico.
La strada da percorrere non si può pensare lunga e tortuosa, ma semplice e diretta, come semplice e diretta è la comunicazione che dobbiamo re-imparare a fare verso la società, dicendo cose semplici, precise e senza indecisioni, cose capaci di creare un immaginario, quindi di ridare speranza di cambiamento ai tanti che non vedono baricentri attraenti e che quindi si sfilano dall’impegno politico.
E’necessario che si inizi nei territori, che non si aspettino direttive da fuori di noi.
Ma soprattutto è necessario che ci si veda per definire, con chiarezza e puntualità, cosa ci unisce, quali sono le necessità che la fase ci impone, ma anche quelle che la nostra pancia ci consiglia.
Il resto è naturale: bisogna iniziare a fare iniziativa politica e cultura fuori di noi.
25 giugno 2007
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