di LUCA GIBILLINI
Abbiamo fatto finta di nulla per dieci anni, abbiamo nicchiato sulla Rifondazione, ma questo non ha evitato che succedesse quello che è successo. L’Italia ci ha voltato le spalle, ci ha detto che non siamo più credibili.
E’molto difficile costruirsi una credibilità in questo mondo di nani e ballerine, ma riconquistarla rasenta la missione impossibile. E il problema non è solo di Rifondazione Comunista, ma investe tutti coloro che hanno costruito con pazienza e dedizione i loro splendidi e ornamentali orticelli.
Mi riferisco ai quattro partiti della SA, ma anche alle organizzazioni, associazioni, reti, assemblee, che si sono riconosciute nel movimento.
Diciamo da sempre che andare alle urne è SOLO una parte della democrazia. Abbiamo spesso presuntuosamente sparlato di primarie e di democrazia rappresentativa. Ebbene, ho la sensazione che la nostra gente ha bisogno ANCHE di questo, temo.
Entrare nell’urna e mettere una croce sulla Lega, sul PD, sul PDL, sull’UDC, è facile, è normale, è una decisione che si prende. La matita che si regge in mano mentre si vota dalla nostra parte invece è molto più pesante. Ha tutto il peso di una scelta che vuole e ambisce ad una trasformazione dei rapporti reali. E’ un peso che il voto per chi vuole “correzioni di grafia allo stato presente” non ha. Com’è facile entrare nell’urna e segnare il simbolo che significa solo cambiare un pochino o qualche cosina! Magari due stranieri in meno, magari qualche soldino in più alla ricerca. Ma lì siamo. Ancora più pesante quella matita lo diviene se non è chiaro da che parte si sta andando a parare.
Alleggerire quella matita è l’obiettivo. Ovviamente senza far si che la leggerezza sia solo perché il voto è quello leggero, d’opinione o ininfluente. Ma questo lo diamo per scontato. Non ci interessa.
La strada giusta è quella di restituire un’identità alla somma (o sommatoria, o risultante) delle cosiddette istanze della sinistra.
Mi sembra evidente che il voto esprima, come sempre è stato e come ora diventa più evidente, un senso di appartenenza dell’elettore a qualcosa. La Lega, che a noi piaccia o no, restituisce alla politica un’appartenenza territoriale. Ma soprattutto un’appartenenza ad un ceto produttivo, orgoglioso di esserlo. Anche Berlusconi, restituisce un’appartenenza, quella ad un modello culturale. In parte anche il PD. Molto l’UDC. Insomma, gli unici che avevano qualcosa da dire, ma che non sono stati in grado di offrirsi come espressione politica di un’appartenenza siamo stati noi, con la Sinistra l’Arcobaleno.
Da qui bisogna ripartire. Abbiamo bisogno di dare un’espressione politica a quell’universo di persone che si sentono, per stile di vita, per sistemi di valori, per modo di concepire la società e il mondo, di SINISTRA. Non solo: ORGOGLIOSAMENTE di Sinistra. Aldilà della sterile disputa su simboli si o no, aldilà delle menate novecentesche legate all’identitarismo, alla resistenzialità.
Dare uno spazio di appartenenza, con l’orgoglio di essere prima di tutto quello che siamo, una comunità di persone che sono vicini per stli di vita, ambizioni, orgogli, sogni, paure. E’ sull’orgoglio che si costruisce l’appartenenza, non sulle “sfighe”. Abbiamo urlato ai precari per anni che erano sfigati, inutili, dequalificati. E poi ci aspettavamo il loro voto. Forse dovremmo lavorare di più nella lettura della realtà, nella narrazione delle vite reali, attraverso l’orgoglio , anche un po’ alla Caparezza, dell’eroe moderno, dell’orgoglio di far parte di un universo composto e non solo della tristezza vitale del precario single e bamboccione.
La Sinistra non può ridursi a resistere e a piangere. Resistere è il punto di partenza. La Sinistra deve porsi l’obiettivo di guidare l’Italia verso una trasformazione reale dei suoi meccanismi sociali ed economici, anche con uno sgurado un po’ arrabbiato.
Per fare questo deve gettare le basi affinchè ci sia uno spazio, un luogo, un campo in cui giocarsi la partita. E quello spazio non può che essere uno, orizzontale, ampio, dove chiunque voglia partecipare possa, dove la discontinuità con il passato sia un rinnovamento culturale e generazionale, dove l’universo di coloro ai quali nella pancia ribolle quel sentirsi di sinistra possa riconoscersi.
Senza di questo siamo perduti. Senza questa sfida al futuro, rimarremo quello che sono i bolscevichi in Russia: uno spettacolo indecoroso, una testimonianza del passato, una macchia di colore in mezzo alla società di nani e veline, di Veltroni e Berlusconi.
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